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Non ho mai aspirato ad essere un poeta. Sicuramente non è consono alla mia  dualità votata alla criptica del mio inconscio, instabile per natura. Nella poesia ritrovo, sia nella lettura di altri autori sia nella mia compositiva, stimoli e dialoghi interni col mio essere. Il tentativo è di correlarsi col proprio centro di ascolto emozionale nel presente. Un soliloquio votato a ristabilire equilibri che irrazionalmente si sono dispersi nel tempo per via d’incidenti continui di percorso vitale, atti a promulgare a se stessi un apparente stato conservativo e conoscitivo della propria interiorità.

Attraverso  semplici concetti riformare, ricostruire e sublimare eventi fobici e incalzanti, impregnati di negatività, alla ricerca pedante di salvarsi da una devastante depressione che spesso fa capolino a giorni alterni. Ed è qui che nasce l’atto compositivo che dovrebbe anestetizzare quelle mancanze che oramai sono una regola ben solidificata. Mi trascino nelle giornate e in talune avviene questa traslazione dell’essere e del non essere  sotto una continua pressione esterna che porta inevitabilmente verso l’autodistruzione. Questa produzione di poesie non vuole pontificare verso l’esterno ma prende necessariamente il ruolo di medicazione per la psiche, insieme ad  altre metodologie applicate, per proseguire il proprio corso esistenziale. Chiunque casualmente si trovi a leggerle, avrà un prospetto parziale di quello che sono e che forse sarò.

Grazie per essere passati nella mia parte opaca della mente e per aver dato seguito alla lettura.

Dj Manuel 

 

 
 FESSURE DELL'EFFIMERO    
 

 

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Con molte discrepanze nella portabilità
del mio interiore,
con piccole fessure nell’orgoglio,
nella intraprendenza della disamina del mio ego.



L’assoluto porgo lungo una linea
ben delineata e profilata
nell'orizzonte degli eventi,
sospesa tra un buco nero che mi affligge
e l’intolleranza che predilige
la perdita del senno.



Odo scribacchini con piume d’oca decantare
lungo i margini di un foglio.
Intingono il tutto in un inchiostro perso
nel nero che mi sovrasta.



Un colore maldicente e malvissuto che arde
come un rosso scarlatto ed emana
estreme unzioni e unge ciò
che di smarrito il cuore fu.



Geloni sulla punta delle dita in necrosi,
sguardi e dialoghi silenti con
la morte che scandisce il tempo...




Misero e fugace spergiuro che sibila
da serpente a nodo scorsoio e cinge il collo
e lascia segni che la pelle arrossata
ricorda per il bruciore.



In bilico tra la caduta rovinosa e il breve
respiro che si placa in quelle notti
puntigliose dove le speranze si arroccano
a sottolineare ciò che La follia passeggera
vorrebbe rifuggire.



Destato dall’ incubo, riprendo a me
il mio corpo e lo ricompongo nel tormento
di una nuova giornata contornata da nebbie
e gelide visioni apocalittiche,
dove assolvo e seppellisco
le ultime esternazioni.









Manuel Bosco ©

 

 

 

 

 

 
MIRAGGI NEL CASSETTO    
 

 

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Nella mia fragilità sentori
e stucchevoli epitaffi
Vagiti nell’animo di un tramonto




Teoremi come spunto propulsivo
alla caducità dell’essere
Movenze stereotipate e flussi di pensiero
persistenti anche in un onirico risveglio




Porte che si aprono a svelare
immense distese che vestono di viola
Intrighi e asserzioni nichilistiche
avvolgono la mia mente
recidendo vene e carni




C’è del sangue che scorre e tinteggia
pareti screpolate dallo strepitio
di fuochi fatui
Immerso in un carattere che volge
allo spregevole e talvolta allo spregiudicato,
si inerpica su sospiri profondi e disattesi




Sortilegi che ruotano intorno
in una spirale contigua al corpo stesso
nel pensiero iniziatico




Una vita che insorge,
un fuoco che si scompone nell’intimo
e non vuole traspirare all’esterno




Lunghi soliloqui per sopravanzare a quel
battito d’ali che un corvo estende per
sobbalzare nelle prime arie mattutine




Una sottile speranza posta in quel
cassetto stracolmo di cimeli
e possibilità alquanto
ardite di poterti rivedere
per un solo istante,
anche persa in quella folla
che si disperde nel grigiore
e nella frenesia




Istanti che non ti dimenticheranno
perché onnipresenti nel susseguirsi di
quel giorno che ti racconta
puntualmente come qualcosa
di irraggiungibile




Qualcosa da anteporre
a quel ricordo non esiste
E, malgrado cerchi la via
per cancellarti, è tutto inutile...





Manuel Bosco ©

 

 

 

 

 

 
IN QUELLA NOTTE    
 

 

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Potrei morire in quella notte
Potrei desistere nell’ombra
ancorato ad un vile appiglio
Potrei sfinire il mio cervello
adito di sotterfugi




Filosofare tra il restare ed
il rimanere perturbato in costante delirio
Aspettare nell’ansia confini che, a parvenza,
sembrano valicabili
Dovrei annaspare ancora e decantare
come un buon vino




Persistere e riassettare buoni propositi spenti
dal soffio contrario di un vento violento
Sto per morire d’angoscia in un castello
arroccato su grigiori e tramonti
Nefaste persone intorno
con maschere illusorie sono trasparenti




Dovrei, ma cosa dovrei?
Un amaro sapore del reale mi disgusta
Una porta da oltrepassare per vidimare
l’ultimo biglietto verso l’oblio
L’inutile permanenza impertinente
e sgradita alla fuga
da tutto questo fetido liquame




Eviscerare ricordi e toccare l’impalpabile,
sminuzzare pensieri latenti al transeunte
Potrei, ma tutto intorno è marcio
ed è meglio perire là dove osano i sofferenti
lesi da tanta agonia
Lascia il tutto per il nulla e percorri
ciò che il fato opprimente volle così fortemente
Abbandonarsi al fiume della vita per soggiacere
nel nero assoluto privo di malinconia




La via è la pace eterna e niente potrà più elargire
giudizi su un operato già presente
tumulato nel resto di quei pochi ricordi
che un tempo apparivano felici e fugaci




Come poter non chiedere in prestito
un obolo a Caronte per superare Stige
e fruire di quel traghettamento
cosi tanto raccontato in una notte alcionia!




Manuel Bosco ©

 

 

 

 

 

 
LEGGIADRO INCANTO     
 

 

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Oh mia dolce amata creatura
Vespero e rugiada malinconica
delle mie assonnate notti



Sogno contemplato da molti
e rivolo di dolci persuasioni



Furtivo è il tuo incedere
nel dormiente appassito



Il tuo verbo colpisce e mestamente
illumina ciò che non luccica
Depositaria di sconfitte e fulgenti vittorie
Si erge in te una Briseide anima
dissipatrice di profumate violette



Sei come il vento che implori un passaggio
tra pertugi e sibili per annunciare
la tua permanenza



Sei come l’acqua dove la tua forma assume,
se tracimata, la forma del contenitore
in pura naturalezza



Sei miraggio e lampo di luce tra assonanze
distopiche di un cavaliere errante



Sei rinascimentale nelle tue vestigia
ma scarna e carnevalesca tra sincopatici
sospiri dei tuoi ammiratori visivi
che mai potranno cingerti



Nascondi lotte intestine tra le tue effimere
e mirabolanti apprensioni che puntualmente
anestetizzi perché non insorgano come un
fiume sommerso alla superfice
delle tue trattenute follie
e come uno specchio che galleggia
su acque sorgive rifletti tra il tuo
candore e la lucentezza
che fa soggiacere ombre
che si incuneano in fallaci tormenti
nel trascorre del tempo.



Canti dolci versi da sirena
ed aspetti paziente il naufrago
di turno spiaggiato sulle tue auree
sporgenze il cui sguardo rivolto a te,
procura affanno e abnegazione.



Egli tra le tue braccia godrà
di lauti compensi e colmo
della tua attenzione rimarrà
impigliato tra le tue trame
come sfumature tra vedute metafisiche
per poi essere dannatamente
divorato dalla tua dolce essenza



Dalla tua gentile mano omaggi
di aggraziati frutti gravidi
di saggezza



sfuggente alla mia presa,
corri in direzione opposta
su traguardi criptati alla mia indemoniata
cecità prudenziale che logora l’epicentro
delle mie occultate attrattive.



Non potremo mai stringerci
e fonderci empaticamente
ma trascorreremo il tempo nel tessere fili
fatti di etere protesi in un infinito
e continuo risveglio dell’anima



Il gioco lo conduci tu
sotto auspicabili tempeste di sabbia
dove io ho trascritto il tuo nome



E non c’è pace per un uomo
marchiato da aberranti ferite
che tenta inevitabilmente di sfiorarti



Sono sepolto tra le mie note cruente
e stonate senza una vera ritmica
e aggrappato ad un orologio
che puntualmente scandisce rintocchi
di morte al quale non posso sfuggire
perché lotto costantemente per riemergere
da quel caos nel quale sono
inavvertitamente sprofondato.



Ed in questo pestilenziale marasma mentre
cado in uno strapiombo infinito
penso a te… regale damigella



Principessa felina scaltra
ed arrembante con movenze da ballerina



Strega nella notte
pronta a declamare antiche
ritualità che lambiscono tramonti
in altre realtà parallele



Cenere è il mio sogno
ed in mano brandisco un po’ di te
risentimento per chi giunse
senza mai poter varcare la tua porta



E lontani ci osserviamo come due pianeti
che orbitano in spazi siderali
entrambi legati al proprio destino.



Nel passaggio di qualche satellite
intravvedo una flebile speranza
che mi possa far deviare la rotta
per poter interloquire a portata
d’alito così forse da potermi estendere
e sfiorare le tue labbra
per estirparti un bacio.



Ma la nebbia riporta torpore in pensieri
devitalizzati che riemergono
e sommessamente sprofondano
in sussulti arborei ove giace il
mio cuore in aritmia costante e pronto
a fermarsi dopo aver tanto sussultato
in un ambiente poco consono
alle mie visioni flebili
e voluttuose aspirazioni che frugano
tra sconsiderate speranze oramai
declassate da stati
di pura fantomatica audacia,



la morte chiama
e non c’è scampo quando giochi
a scacchi con la tua messa
funebre che ti ricorda
puntualmente che l’amore rimarrà
solo un estemporaneo ricordo
depositario di una coralità estinta
tra sorrisi e abbracci infiniti.




----------------------- Manuel Bosco ©

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-------------------------------- Gravitando

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Devastanti vedute su un altipiano
di inespresse conflittualità



Ricamo pensieri per leggiadre fanciulle
che mai potrò cingere ai miei sogni



Rivesto un portamento misero e cencioso
di umiliato e sconfitto in guerra



Mi incanto in fronte a decantate bellezze
che passano, furtive e pensierose,
lungo le mie passeggiate solitarie
tra rapide e scoscese panoramiche
intrise di agognate speranze



Come potrebbe un mostro incantare
è un quesito inarrestabile nella mia coscienza



Come potrei carpire la luna e farla preda
della mia mente incarnando fintamente
la bellezza che non mi appartiene



Decapitato alla nascita
e unto da gravi inestetismi
ed esposto in una pubblica piazza
alla gogna di rimproveri interiori



Senza equilibrio e scomposto
da fantasmagorici abiti da lutto
in un’odissea di presagi allegorici



Pavento la mia disfatta
accompagnandomi a idee perite
già sul nascere



Rifiuto di smemorate idi di marzo
nella confusione irrazionale e fobica
follia perturbata dal vento molesto



Quale presenza femminile potrebbe
in me scorgere un visibilio d’incanto?



Nel tormento accendo in una fulgida penombra
candele nere per il mio esaurimento letargico
ed irrorato da tracotanza e arrendevolezze
che bruciano in audaci falò
ricchi di fervore passionale



Infausti anni alla ricerca
della propria accettazione



l’ultimo mostro non estinto
sulle piaghe irrorate di sangue raggrumato
da impatti giornalieri
contro un’ inaccettabile realtà
solida e ben affermata



Artigli su uno specchio
tinti di nero stridono e urlano



Difficile metabolizzare l’immagine
riflessa ed io muoio in quella
alterazione deformata e claustrofobica



Bisognerebbe difendersi dal tutto
con orge di spine dalle attrattive
debolezze e fuggire abbarbicato
ad un possente e magistrale preludio
di morte echeggiante ma tacito



Niente più gravita attorno a me
ed io nella mia fervida apatia
deglutisco e rimbocco le mie debolezze
sotto cumuli di dissertazioni
pregne di vuoto.




----------------------- Manuel Bosco ©

--------------------------------------------------------- 2018

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-------------------------------------- Ipossia

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Declino ogni responsabilità fallata da ingerenze



Sono cosparso da desideri
che mai potranno avverarsi



Circondato da silenzi immobili e precari
che recano frastuono ai miei pensieri



In contatto telepatico con entità femminee
che oscurano la mia realtà percettiva



Circoscritto in una corazza
tremendamente corrosa
e spoglia da effigi di guerra



Viaggio verso la meta con fatica attraversando
promontori privi di senso



Forse giungerò alla mia dimora
senza ovviare a ostacoli eversivi
pronti a farmi sanguinare ancora



Sono stato violentemente disarcionato
in un tempo passato dal mio
incubo perenne…l’amore



E ritrovo, là, nella mia terra natia,
ancora deprecabili comparse
con sguardi malevoli



Nella mia ipossia sciagure oberanti e sinuose,
penombre pronte ad osservare
la mia preclusa ostentazione,
ad ammorbare il trascorrere del tempo



Folle corsa per declamare virtù disperse
sul sentiero di guerra
contro nemici evanescenti
pronti a deridere e consumare
altri epiloghi dissonanti



Ottempererò ad un’ ultima resurrezione
delle mie involute volontà



Sarà l’ultimo canto per evocare
le ultime forze ad affermarsi
nuovamente nella mia psiche



Un defunto che onora le regole esistenti
deprecando la permanenza
al suo spirito smarrito



Le ultime preghiere assurgeranno
a confondere quel fato che
tanto ha complottato per
smembrare le mie sicurezze.



Alzerò ancora la mia spada verso il cielo
in una notte dove la luna piena
illumina il mio profilo indecente



E il defunto cavaliere sarà di nuovo
in piedi e non più prono al mondo...
per l’ultima volta




----------------------- Manuel Bosco ©

--------------------------------------------------------- 2018

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------------------------------- Anancasmo

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Il tramonto manifesta dolore inconfutabile,
tendenza alla fine concreta,
detonazione imminente ed implosione.


Irto e decadente ho cercato
di procrastinare l’ultimatum che il fato
aveva già inciso nella mia temporale
esitazione in una vita ricolma di sofferenza,
evirato il senso di capogiro
che false percezioni d’amore portano,
esplorato vie di fuga tra pertugi
asfittici ed ostruiti da laconici sbarramenti,
inalando rabbia e sentimento,
vivo in un contesto anacronistico.


Trasudando vergogna, imbarazzo,
scarnificazione scellerata della materia
sovrapposta ad ossa che non reggono
più strutture deboli e disarticolate,
non conformi al sistema imposto
dove impera l’adorazione della esteriorità
declamata accuratamente come un valore
che va oltre la sostanza interna
che governa l’intelletto,
ho adottato diagnosi cognitive
per destabilizzare un letargo prolungato
senza svolte epocali.


Preamboli sintetici distillati
con arsenico e vapori dissolti
Il tutto per non essere diluito
in prosaici sconforti.
Il tutto per non percepire
l’incombenza di ciò che prima o poi
sarebbe sfociato nella fine.


Ho solo esitazioni tentennamenti simili
a tintinnii con sembianze stereotipate
da un eccesso di follia
aberrante e autolesionista
Ho atteso l’attimo per riempire
quel calice ormai vuoto e desolato
dove l’alchemico rituale aveva assunto
sembianze di una liturgia avulsa
da sintomi analgesici.


Il volo che con un salto
e un gemito darà silenzi mortali
alla mia forma umana
e alle sembianze circostanti
svanite in epocale tonfo
nell’attimo fatale.


Non riesco più ad avere uno scopo
se non quello di porre fine alle sofferenze
di pensieri laceranti a cui un farmaco
antalgico non pone rimedio alcuno se non
lenire il male radicato in forma illusoria.


La musica ha attenuato per molti anni
quel senso di non appartenenza ad un mondo
schiavo di sostanze mistichee costipate
da fragorose ansietà cospiranti.


Sono giunto nell’istante
ed ho ripercorso a ritroso e velocemente
ciò che ero tra faldoni archivianti
e placidi lamenti e riscoprendo
cosi le mie aritmie impregnate
d’ingenuità interattiva,
la somma ed il prodotto
di ciò che aveva valenza e fragilità
deduttive nel discernere il bene dal male.


Ora non riposo in pace
in una valle di lacrime e sangue
ma veglia su di me una lapide,cupa,
priva di alcun epiteto che ricordi una essenza
conviviale di ciò che avevo rappresentato
in un lago di sentimenti che si sono avvicendati
su uno specchio ornamentale oramai frantumato.


Solo un fiore adorna la mia decadente tomba,
lasciato li da una dama nera che avrebbe potuto
amarmi e ne sarebbe stata ricambiata
ma che volle preferire una via alternativa
ad un percorso in simbiosi ed empatico
verso emisferi votati alla ricerca della felicità


Quella violetta, fiore desueto e poco valorizzato,
che macchiava una retrospettiva panoramica
lasciando l’ultimo tocco di colore
in una atmosfera grigia e impalpabile
ad un occhio distratto di un vivente.


Il tempo ha dimenticato,
come in tanti abbandonati in quel cimitero,
ricordi imperdonabili intrisi di emozioni
che non potranno sorgere più e modificarsi
tra quelle creature che calpestano
il mondo circostante.


Lasciando solo tracce
sulla polvere che, implacabile,
si poggia su quelle statue e quelle lapidi
che un tempo rappresentavano figure umane
in continuo movimento nel teatro della vita,
regna solo il silenzio che, impalpabile,
ricopre come una coperta quei corpi
in decomposizione che non rivelano
più i loro segreti.


Ed io insieme a loro subisco
lo stesso percorso senza poter più essere
destabilizzato dal destino infame
carnefice maleodorante e attento a farmi
cadere fino alla fine.


Ora, caro fato malvagio,
dovrai rivolgerti a qualcun altro
per poter godere del dolore altrui
ed io sono sconfitto e vittorioso
al tuo cospetto di becero
schernitore e flagello
delle tue insensate scelte
di individui da tormentare,
affinché non cadano nel limbo
oscuro della morte cosi che tu possa
da loro distogliere il tuo sguardo.


Adios fu l’ultimo grido nel nulla
che la mia bocca
pronunciò al pianeta terra


----------------------- Manuel Bosco ©

--------------------------------------------------------- 2017

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------------------ Stolto organigramma

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Mendace è la voce sussultoria che polverizza
la disistima perenne o forse no?



Incerta ed errante è quella voce di corridoio
che copre spazi alternativi con posa mistica



Sussurri coscienziosi tra realtà parallele
in un binomio emotivo penetrante



Incantato ed estasiato tra l’eleganza
ed un distacco che rimarrà tale e virtuale
nella sua complessità contemplativa



brama la foga di evolvere
tra profumi dimenticati
su sommità corrose oltre
l’impercepibile desiderio mai inverato



Parole cadenzate al ritmo di note invocanti
il tepore di un corpo assestante al proprio
tra sfioramenti introspettivi e rivelazioni
nell’ etere senza segnali di presenza



Catatonico e cieco è il mio sguardo
che trapassa quei muri che non mostrano
sembianze oltre le barriere che costanti
si contrappongono ad ombre senza sagoma



Alla ricerca di una possente atarassia
fuori da istinti di concupiscenza
portatori di dolori
sfumati in un quadro contrito



Sono comunque etichettato
e declassato ad un inetto
da chiunque interagisca col mio pensiero



Sopraffatto da scheletri che tornano a trovarmi
per rimpinguare altre torture alla mia psiche
deformata da strascichi lascivi



Completo la descrizione di ciò che un tempo
mi rendeva valido alla mia voluttà
e tacita pro forma su un profilo scomposto
da un mosaico d’emozioni



E lascio finalmente questo mondo
che non mi appartiene di cani rabbiosi
profusi a latrare contro i deboli
analogie dispregiative che deflagrano
vicino al mio inconscio perplesso
e precariamente fuorviato dall’imprevisto



Essi non sanno argomentare ma sanno
odiare anche il loro riflesso
sullo specchio e qualunque ombra fallata
che gli si presenti a tiro
sarà scopo per allenare
la propria mira stolta?



Per poi accorgersi che la loro
vittima sacrificale era già dipartita
da molto tempo e camminava
tra i cosiddetti vivi in un viaggio perpetuo
e agonizzante verso l’inferno



Solo lì era stato accolto nella falsità
da voci stridule che,
come battacchi sonanti su una porta maestra,
annunciavano l’arrivo del caduto



Solo note di tortura,
come un lenzuolo profuso
in evanescenti sordità amorali,
suonano oltre l’orizzonte degli eventi
e muoiono librandosi nell’aria
nell’istante fugace di un bacio
mai raccontato



Manuel Bosco ©

--------------------------------------------------------- 2017

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------------ Sogno al centro del delirio

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Vorrei infilarmi esizialmente
in una corrente di pensiero
e percorrere le vie che portano
al supplizio di Tantalo



Gradirei l’amicizia di Caronte per risolvere
la chimera dell’attraversamento della mia anima



Trasportare e rimuovere il grande fardello
di Venere regina vacua dell’amore
Circoscrivere ansie e dolori
in un cerchio magico profumato di violette



Pranzare col decadente Poe
per disquisire su falsi miti
Germogliare oltre le opinioni altrui
che si specchiano
là dove l’abisso penetra l’infinito



Drogarmi d’amore sul lago di Loch Ness
tra le vecchie imbarcazioni
che ormeggiano lì ed insalubri.
Accarezzare il viso di colei che mi scruta
oltre lo spirito che aleggia torbido in me
come un miraggio penetrante



Ricercare uniti a quell’alito di vento
che trascina la nostra imbarcazione
oltre le alterazioni climatiche
dell’emotività all’unisono
tra panorami in ascesa
e decadenti strutture gotiche



Protési nel tempo ad aspettare la pioggia
e rivoli di gocce salubri che scorrano furtive
per inebriare quel placido cammino
verso una sequenza indefinita



Osare oltre le maree con la prua rivolta
a sgualcire quella materia cosi percettiva
e inconsistente che la natura costruisce
disinvolta senza troppi ricami armonici



Smantellare ponti inossidabili al raggiro
d’opinioni altrui che inficiano un legame
insoluto cosi da morire e risorgere ogni giorno
con nuove aspettative oltre la signora noia
che viaggia spesso in parallelo



Sto aspettando su un binario morto quel treno
che stenta a sopraggiungere ma il cui richiamo
rimbalza tra le valli e che percorre a stento
per poi mai giungere a destinazione
alla mia sorda agonia inacidita.



Accortomi di un risveglio
improvviso antagonista del sonno,
il tutto non era altro che un sogno
delirante e teatrale che aveva reciso
l’ultima parola mal interpretata
posta tra quegli scaffali
impolverati della mente
occultando così l’infame improperio
destituito dall’esimio e indefinito
sospiro contro vento che giace sepolto
tra mura screpolate nel crepuscolo
sonno dominante.



Un cimitero di passioni dimenticate
come panni consunti il cui uso sfugge
anche alla terra raccolta intorno
dove l’abbandono è uso ed un costume
di una fine certa.




Manuel Bosco ©

--------------------------------------------------------- 2016

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---------- La speranza di un viandante

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braccia protese alla sventura
anima insipiente tra vedute approssimate
orde di lacrime scaturiscono introspettiche
da occhi destabilizzati



colmare un’esigenza
in innumerevoli vortici edonistici
placare sordide chiacchiere
somiglianti a fruscii nebulosi
disperdere nella notte angosce tendenti
alla deflagrazione emotiva



gelida è la mancanza del trascorso divenire
irriverente quell’attimo di speranza
non degno d’appartenenza
un soliloquio contemplativo immerso
tra fluidi turbolenti e speranzosi



nel torpore, un arrogante pensiero d’amore
Infausto fu sperare di poter
percuotere il signore del tempo
fermare l’attimo nella fragranza
di quegli eccessi avvolgenti
con la compagna che fu



prossimo è l’imbrunire che vaneggia
tra l’eterno brusio e laceranti ferite
esse si fan strada dall esterno e spingono
le radici acuminate tra il cuore e la mente



un'altra notte lascia spazio
a nuovi presentimenti folgoranti
nella fine, imbarco su questo
corpo altra pesantezza
frugale nel sentimento,
adempio a restituire l’ultimo respiro al mondo



ciò che avevo acclamato
nella mia dolce fanciullezza
aveva smarrito ogni sua peculiarità positiva
ed indomito avevo posato il calice
che alimentava la mia vita
spegnendo l’attimo in un eterno silente vagheggio




Manuel Bosco ©

--------------------------------------------------------- 2016

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----------------------- La cometa implosa

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Collido su un promontorio di false illusioni
Imprecare contro un destino infame


Una lotta tra scelte sbagliate
per ricavare il nulla.
Alla ricerca di un senso sotto
un pallido cielo malinconico
ho lanciato una speranza oltre gli ostacoli
che delimitano la mia anima


Emerge sempre nel buio
un pallido filo di scoramento
che parvenza trasforma in luce.
La mia rotta di collisione
si nutre di una sorte avversa


Scavo nel fango della mia esistenza
ma non scorgo alcun reperto
della mia essenza grigia.
Ho rapito l’attimo lasciandomelo sfuggire
senza che potessi afferralo
Ho partorito molte idee
senza che esse portino conforto


Depauperato dall’assenza di un amore
da stringere oltre l’assoluto
Inveisco contro il fato,
quell’infame simulacro…


Urla che rimbalzano nella nebbia
dei miei plumbei giorni passati
Un frammento nel tempo
che possa darmi speranza
si è perso nello spazio
e orbita presso una luna cieca e sorda


La gravità opera nel mistico
La rivoluzione intorno al proprio
asse instabile si perde nell’irrazionale


Ed io, sommo ed evasivo,
non guardo più le stelle
Emozioni scomparse similari
ad un essere artificiale
scevro di colpe altrui


Insipiente dell’ eccesso di zelo
ho smarrito il senno
La mia indifferenza suggella la chiusura
al mondo dei frustrati


È prerogativa di un salvataggio in un mare
ugualmente morto e privo
di percezioni oblative




----------------------- Manuel Bosco ©

--------------------------------------------------------- 2016

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---------------------- Senza parte ne arte

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In una landa desolata tra decadenti mura
ed insoliti preamboli




ho seppellito lacrime di vendetta
nell’infinito di un momento nero e ricolmo di odio




senza parte né arte
senza parte né arte




tra fallimenti e ombre ho dormito
tra i rovi della tua perversione
tra latenti e spensierati momenti
ho seppellito lacrime di vendetta




senza parte né arte
senza parte né arte




tra temporali e fragori ascolto ancora la tua eco
solo distruzione e separazione tra l’anima
ed il corpo il nulla solo tuoni e lampi
all’orizzonte il tuo profilo




senza parte né arte
senza parte né arte




un indiscutibile profeta sommerso tra languide distese
penetranti e gelide dispersive aridità
Il mio cuore estirpato da quella terra
gocciola di aspre indecisioni




senza parte né arte
senza parte né arte




disgiunto da quel lembo di pelle vivo arso
in rogo di semplici ricordi
lontano dai tuoi pensieri




sono solo un cavaliere senza testa
esiliato da questo mondo di tormenti ed d’infedeltà




senza parte né arte
senza parte né arte




solo la morte veglia sulla mia vita
solo l’inganno bussa suadente alla mia porta
solo un sospiro tra le tenebre desta il mio sonno




senza parte né arte
senza parte né arte




destino brandisci la tua spada su questo corpo morente




Manuel Bosco ©
 

 

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